Onorevoli Colleghi! - A distanza di più di quindici anni dalla legge istitutiva, e di undici anni dalla sua entrata in funzione, la giustizia di pace ha ottenuto anche un riferimento che va al di là della legislazione ordinaria: la «giustizia di pace» viene individuata in modo espresso dalla Costituzione all'articolo 116, terzo comma - come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - che rende esplicito l'inserimento dei giudici di pace tra i magistrati ordinari che esercitano la funzione giurisdizionale ai sensi dell'articolo 102 della Costituzione e la loro appartenenza all'ordinamento giudiziario.
      D'altra parte, l'evoluzione legislativa ha reso evidente che la nomina dei giudici di pace avviene attraverso un concorso, che l'espletamento della funzione è preceduta da un tirocinio sul modello dell'uditorato dei magistrati di carriera, che la loro funzione giurisdizionale è subordinata a condizioni di incompatibilità stringenti e, per quanto riguarda l'attività svolta dai propri familiari, più grave di quella prevista per i magistrati di carriera, e che i giudici di pace sono soggetti a procedimenti disciplinari regolati in modo analogo a quello previsto per i magistrati di carriera e per i pubblici dipendenti in generale.
      Tale evoluzione rende evidente che il secondo comma dell'articolo 106 della Costituzione, che prevede la nomina di magistrati onorari, non costituisce una eccezione rispetto alla previsione del primo comma, ma invece, come anche il terzo comma, una esplicitazione delle forme di reclutamento concorsuale della magistratura ordinaria, per cui la funzione della magistratura di carriera non può considerarsi

 

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«diversa» da quella esercita da un giudice onorario con competenza esclusiva e stabile.
      Nonostante l'evidente inquadramento della funzione della magistratura di pace, fin dal momento della sua comparsa nello scenario della giustizia, il giudice di pace ha sofferto di una sorta di «crisi di identità».
      Da un lato, infatti, il testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, all'articolo 50, comma 1, lettera f), assimila, ai fini tributari, i compensi che il medesimo riceve per l'attività svolta al reddito da lavoro dipendente, mentre, dall'altro, la Corte di cassazione esclude in modo categorico che tra l'amministrazione della giustizia e il giudice di pace possa intercorrere un rapporto assimilabile a quello di pubblico impiego, stanti il diverso sistema di reclutamento basato, per quest'ultimo, «su scelte politiche discrezionali» e in assenza sia di un rapporto di subordinazione, dato il carattere onorario della funzione, sia di una retribuzione, avendo gli emolumenti ad esso corrisposti natura di indennità o di rimborso spese (Cassazione, sezione unite, sentenza n. 11272 del 1998).
      In questa indeterminatezza di status, dal maggio 1995, periodo d'inizio dell'attività, i giudici di pace sono rimasti senza copertura previdenziale, a differenza di altre categorie di lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori «parasubordinati» ai quali, da ultimi, è stata assicurata una tutela assicurativa e previdenziale con la legge 8 agosto 1995, n. 335. Tale discriminazione è inaccettabile sia sotto il profilo giuridico-costituzionale che sotto il profilo sociale.
      Il problema si è maggiormente accentuato in quest'ultimo periodo per effetto dell'anticipazione da 50 a 30 anni dell'età di ingresso nella funzione. Da qui l'insorgenza di maggiori e più pressanti problemi di tutela non solo previdenziale ma anche assicurativa per questa seconda generazione di giudici di pace che, a differenza della precedente, che si è avvicinata alla funzione giurisdizionale all'epilogo della propria carriera lavorativa avendo acquisito i titoli per la tutela previdenziale, deve invece costruirsi il proprio «domani» in termini di lavoro e di previdenza e non può tollerare che un periodo della propria attività lavorativa tanto utile per la collettività costituisca un vuoto pregiudizievole nella costituzione della propria posizione previdenziale.
      Per sanare questa anomala e ingiustificata situazione, nella rivisitazione della normativa previdenziale, appare conferente - in rapporto al non ben definito status del giudice di pace - fare riferimento sia al regime previdenziale degli avvocati che a quello oggi assicurato per le categorie dei lavoratori parasubordinati dalla citata legge n. 335 del 1995.
      La presente proposta di legge intende tenere conto della diversa estrazione e della diversa attività esplicata dai giudici di pace, dei quali soltanto una parte ha l'abilitazione all'esercizio della professione e di questi solo una parte svolge l'attività professionale, e di conseguenza si è ritenuto di prevedere due gestioni a cui affidare la tutela assicurativa e previdenziale del servizio dei giudici di pace. La prima sarà assicurata dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per i giudici di pace già iscritti a tale gestione, mentre gli altri vengono iscritti alla Gestione separata dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), istituita a seguito dell'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
      Ovviamente il contributo alle due gestioni è stato calcolato nella stessa misura che oggi è vigente per la Gestione separata dell'INPS e cioè il 14 per cento dell'ammontare complessivo delle indennità percepite, che si riduce al 12,5 per cento per i titolari di pensione diretta, e al 10 per cento per coloro per i quali sussiste una contribuzione per altri rapporti.
      L'onere della contribuzione rimane per un terzo a carico dell'assicurato e per due terzi a carico dell'amministrazione giudiziaria. Al riguardo è sembrato indispensabile fissare un importo omogeneo della contribuzione che corrisponda a quello previsto oggi dalla legge per la Gestione
 

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separata dell'INPS. La contribuzione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense si andrà ad accumulare con quella derivante per lo stesso periodo dall'attività professionale svolta. Al fine di armonizzare la posizione dei giudici di pace con quella degli altri iscritti alla citata Cassa si prevede che, nel caso in cui le diverse contribuzioni non raggiungano la misura minima dei contributi soggettivo e integrativo, l'assicurato dovrà provvedere a versare la differenza fino al raggiungimento dell'importo richiesto dalla normativa vigente della Cassa.
      L'iscrizione alla Cassa e alla Gestione separata dà diritto alle prestazioni oggi previste dalle due diverse normative. Gli articoli 4 e 5 della presente proposta di legge pongono una particolare attenzione a non creare disparità di trattamento tra i giudici oggi in servizio aventi una diversa anzianità. Di conseguenza è consentita l'iscrizione retroattiva alla Cassa nazionale o alla Gestione separata per i giudici di pace che hanno iniziato il servizio precedentemente al 1 gennaio 2008, e che ne fanno richiesta.
      L'articolo 5 consente, invece, opportunamente di utilizzare la contribuzione prevista dalla presente proposta di legge con quella precedentemente maturata, in modo da attuare la ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi.
      È sembrato infine opportuno utilizzare un'occasione come la presente al fine di «normalizzare» alcuni aspetti dello status di giudice di pace per prevedere che il servizio del giudice di pace sia utile ai fini dell'iscrizione all'albo dei cassazionisti (articolo 6) ed eliminare un dubbio che alcuni hanno manifestato, prevedendo espressamente che le cause relative al rapporto di servizio dei giudici di pace siano esenti dal pagamento del contributo unificato così come lo sono per i giudici togati e per i giudici popolari secondo la previsione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, allegato B, tabella atti, documenti e registri esenti dall'imposta di bollo in modo assoluto, numeri 2 e 12 (articolo 7).
      L'articolo 8, infine, oltre a prevedere la riduzione dell'organico dei giudici di pace, che consente di coprire parte della spesa necessaria per l'attuazione della legge, modifica la legge 21 novembre 1991, n. 374, in merito alla possibilità di confermare i giudici di pace nella loro funzione più di una volta, garantendo il principio della stabilità dell'ufficio.
      Si tratta di disposizioni volte a «normalizzare» la condizione del giudice di pace, consentendo allo stesso di poter utilizzare il periodo di servizio prestato per la prosecuzione dell'attività professionale con l'iscrizione all'Albo dei cassazionisti e di equiparare il contenzioso promosso dai giudici di pace a quello dei lavoratori subordinati, dei giudici di carriera e dei giudici popolari.
      La spesa conseguente all'erogazione del contributo a carico del Ministero della giustizia, che si prevede pari a 6.441.200 euro, può trovare - almeno in parte - copertura nella riduzione dell'organico dei giudici di pace da 4.700 a 4.000 unità per 4.771.200 euro.
 

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